Il cinque maggio del 2000, vent’anni fa, moriva a Firenze Gino Bartali. Il grande campione di ciclismo nato nel 1914 a Ponte a Ema, avversario sportivo di Fausto Coppi, conquistò tre Giri d’Italia (nel ’36, nel ’37 e nel ’46) e due Tour de France, nel ’38 e nel ’48, vittoria quest’ultima entrata nella storia anche perché contribuì a sciogliere la tensione che si era creata in Italia dopo l’attentato a Togliatti.
Ma il grande campione ebbe anche un altro grande merito: la sua attività per salvare gli ebrei, sia trasportando in bici documenti falsi, sia nascondendo nella cantina di un suo appartamento una famiglia ebrea che abitava a Fiesole. Azioni che gli hanno valso nel 2013 l’appellativo di Giusto tra le nazioni.
di Damiano Fedeli
È il 16 luglio del 1941 quando Gino Bartali va a fare visita alla famiglia Goldenberg a Fiesole. La famiglia ebrea si era trasferita qui da Fiume, dove il clima nei confronti degli ebrei si era già guastato. Giorgio Goldenberg ha nove anni e quel giorno non se lo scorderà mai. Non gli pare vero avere nel salotto di casa il grande ciclista che all’epoca aveva già vinto due volte il Giro e una il Tour. Tanto più che il campione in quell’occasione gli regala una bicicletta e una foto con dedica che conserverà per sempre (l’immagine sopra). Abbastanza per Giorgio (poi diventato Shlomo Goldenberg-Paz) per ricordare tutti i particolari di quel giorno d’estate: insieme a Bartali, c’era anche un cugino del campione, Armando Sizzi, meccanico di biciclette e amico di famiglia dei Goldenberg stessi. Bartali e Sizzi si misero a sedere, chiacchierando fitto fitto con Giacomo, il padre di Giorgio, in un “discorso da adulti”, come ricorderà poi Goldenberg lasciando la sua testimonianza al memoriale dello Yad Vashem, l’ente per la memoria degli ebrei a Gerusalemme.
IN SALVO NELLA CANTINA
Un paio di anni più tardi, con l’occupazione tedesca nel 43, il senso di quei discorsi da adulti gli fu chiaro. A quell’epoca Giorgio era stato mandato dalle suore nel convento di Santa Marta a Settignano ma, quando a Firenze cominciarono i rastrellamenti, fu proprio Bartali a nascondere i coniugi Goldenberg con i due figli Giorgio e Tea, prima nel suo stesso appartamento, poi nella cantina di una sua casa dove, per non destare sospetti, fece trasferire suo cugino Armando. Era “a Firenze, in via del Bandino 45, in prossimità della strada che porta a Piazzale Michelangelo. Mia madre venne a prendermi al convento e anch’io rimasi nascosto nella cantina di Bartali e di suo cugino fino alla fine della guerra. Loro si occuparono di noi per tutto il tempo”, ricordava Goldenberg 81enne nel 2013 in un’intervista a Repubblica da Israele dove si è trasferito al termine della guerra.

A Firenze si era rifugiato anche un cugino di Goldenberg, Aurelio Klein, avendo sentito della possibilità di ottenere dei documenti falsi. Dopo un breve tempo nella cantina di Bartali coi Goldenberg, Klein riesce a scappare in Svizzera. A procurargli i documenti falsi era stato lo stesso Bartali.
LA STAFFETTA IN BICI PER I DOCUMENTI FALSI PER GLI EBREI
Un giorno dell’autunno del 43, infatti, il cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, che aveva sposato il ciclista con Adriana Bani ed era padre spirituale del campione, lo convocò. Il cardinale si era attivato insieme al rabbino Nathan Cassuto per creare una rete clandestina di aiuto agli ebrei. C’era bisogno di un corriere fidato e insospettabile che facesse la spola con Assisi, dove i frati francescani producevano documenti falsi. Bartali accettò. All’andata nascondeva nel telaio della bici le foto, al ritorno i documenti completi che gli consegnava ad Assisi padre Ruffino Niccacci. Come sportivo aveva la scusa dell’allenamento per percorrere i 180 chilometri che separano Firenze da Assisi. Veniva fermato per gli autografi, anche dalle pattuglie di controllo. Il famigerato Mario Carità, capo della banda fascista che terrorizzava Firenze, insospettito, lo convocò a Villa Triste sulla Bolognese. Lo minacciò con un “ci rivedremo”. Ma la Liberazione fece cadere tutto.
Nel dopoguerra Bartali non ha mai fatto parola di questa sua attività, fedele a un motto secondo il quale il bene si fa ma non si dice. È stato solo in anni relativamente recenti che questa storia è riemersa, anche grazie alle ricerche del figlio del campione, Andrea. Il 23 settembre del 2013 lo Yad Vashem ha dichiarato Gino Bartali Giusto tra le nazioni (come lo stesso cardinale Dalla Costa dal 2012).
L’anniversario della morte di Bartali è stato ricordato oggi anche dal presidente della Repubblica Mattarella in un messaggio: “Il nome di Gino Bartali, campione e leggenda del ciclismo italiano, è iscritto a grandi caratteri nella storia dello sport nazionale e rappresenta uno dei simboli dell’Italia del dopoguerra. La Repubblica lo ricorda, a vent’anni dalla scomparsa, come un atleta di straordinario valore, ma anche come un testimone di quello spirito di solidarietà, di sacrificio, di dedizione che ha rilanciato il Paese agli occhi del mondo. Le imprese di Bartali al Giro d’Italia, al Tour de France, nelle grandi classiche internazionali, hanno suscitato entusiasmo tra gli italiani e rafforzato le loro speranze anche in momenti molto difficili. Il nome di Bartali sarà ricordato anche come Giusto tra le Nazioni per il coraggioso e silenzioso impegno nella rete di salvataggio, costruita dall’Arcivescovo e dal Rabbino di Firenze, che consentì a centinaia di cittadini di religione ebraica di sottrarsi alla persecuzione e alla deportazione. La discrezione con cui negli anni ha custodito un’impresa di così grande valore umano rende ancora più onore alla sua memoria”.