Una figura chiave nella Resistenza a Fiesole fu quella di Cesare Fasola. Funzionario agli Uffizi e partigiano combattente, ospitava nella casa fiesolana, insieme alla moglie Giusta Nicco, le riunioni clandestine del locale Comitato di Liberazione Nazionale (qui sopra la coppia in un dipinto di Carlo Levi, loro amico). Ebbe un ruolo fondamentale nel salvare i capolavori degli Uffizi nascosti in ville e castelli a sud di Firenze. E anche nel salvataggio delle opere d’arte requisite dai fascisti alle famiglie ebree fiorentine. Un articolo di Marco Carminati sul Sole 24 Ore del maggio 2010 lo annovera fra gli “eroi che durante la Seconda Guerra mondiale misero in salvo il patrimonio artistico italiano”. Nel dopoguerra e fino agli anni Sessanta fu consigliere e assessore a Fiesole. Una figura da riscoprire, in un giorno come il 25 aprile. Una vita degna di un romanzo.
di Damiano Fedeli
Ventitré luglio 1944. Il fronte della guerra è alle porte di Firenze. Cesare Fasola, 58enne funzionario della Soprintendenza, lascia la moglie Giusta Nicco nella casa di Fiesole e dagli Uffizi fa venti chilometri a piedi per raggiungere il castello di Montegufoni, a Montespertoli, dove sono state messe in salvo opere dalla Galleria fiorentina, fra cui la Primavera di Botticelli. Da lì si sposterà per due settimane a piedi per la Val di Pesa, a Montagnana, a Poppiano, a Uliveto per sorvegliare che i capolavori del museo fiorentino, sistemati in ville e castelli, siano al sicuro, al riparo prima dalle truppe tedesche, poi dagli stessi alleati. Due settimane – fino alla liberazione di Firenze, 11 agosto – in cui mette a repentaglio la sua stessa vita e che documenta scrivendo accorate lettere alla moglie dalla quale potrà far ritorno solo dopo la liberazione di Fiesole, il primo settembre. “Mia cara Giusta, così eccomi qui, dove passano la loro misteriosa ora di destino i tesori più preziosi della nostra Galleria e non solo. Penso alle migliaia di custodi, ispettori, direttori, di studiosi che sempre vigilarono la minima di queste cose, giorno e notte, e io non posso fare altro che camminare per queste sale devastate e aperte a tutti”.

UNA VITA DA ROMANZO
Sono solo alcuni episodi di una vita degna di un romanzo. Fra la sua opera per la salvaguardia in tempo di guerra dei capolavori degli Uffizi e la lotta partigiana: con la moglie Giusta Nicco fu organizzatore del CTLN, il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e fra i promotori del CLN a Fiesole che si riuniva clandestinamente proprio in casa loro. E, ancora, Fasola mise un impegno infaticabile per mettere in salvo dalle requisizioni le opere d’arte delle famiglie ebree fiorentine. E, infine, si impegnò in politica nel dopoguerra a Fiesole, dove fu consigliere comunale e assessore, protagonista nella ricostruzione. Una storia che è possibile ripercorrere grazie ai tanti suoi documenti e lettere, ospitati all’Istituto Storico della Resistenza in Toscana. E che, fra gli altri, hanno approfondito Marta Bonsanti (dello stesso Istituto), Alessia Cecconi (della Fondazione CDSE – Centro di Documentazione Storico-Etnografica), Francesca Graziati (del Ministero dei Beni Culturali) e lo storico dell’arte Carlo Franza nel suo blog Scenari dell’Arte sul Giornale. I loro scritti, pieni di rimandi ai documenti e citazioni, sono le fonti per questo articolo.
DA PRETE A PARTIGIANO
Cesare Fasola era nato a Torino il 22 dicembre del 1886. Già qui il primo colpo di scena: per volere della madre, entra in seminario e diventa prete, anche se non molto convinto. Tanto che alla morte della mamma, nel 1932, abbandona l’abito talare. Per sposare, nel 1934 Giusta Nicco. Per qualche anno insegna alle superiori, poi entra alla Soprintendenza come “professore comandato” e viene affidato alle Gallerie di Firenze, Arezzo e Pistoia (così si chiamavano allora), dove rimase fino alla pensione.
IN CASA FASOLA IL CLN FIESOLANO
Dapprima Fasola e la moglie abitano in via di Camerata. Poi, dall’estate 1940 si trasferiscono a Fiesole, in via degli Angeli al numero 4, fra Fontelucente e San Girolamo. Una casa presa in affitto da Maria Vittoria Chiarugi Micheli e che avrà un ruolo cruciale nella Resistenza fiesolana. È lì, infatti, che si terranno le prime riunioni clandestine del CLN di Fiesole, il Comitato di Liberazione Nazionale. Fasola e la moglie rappresentano il Partito d’Azione. Convinti antifascisti, vi si erano uniti già nel 1941, con il compito di “collegamenti, propaganda, varie, organizzazione Comitato di Fiesole, Giunta Comunale”, come si legge nel modulo di iscrizione alla sezione fiorentina. Uomo colto e riservato, nel Partito d’Azione si ritagliò un ruolo culturale. Anche se non mancò certo di coraggio e di azione, come si vedrà.
Ancora oggi nella casa di via degli Angeli, su un lato del caminetto, ci sono le firme di entrambi i coniugi Fasola insieme a quelle di altri antifascisti fiesolani: Giuseppe Roselli, Enrico Baroncini, Giovanni Ignesti, Aldo Gheri, Mino Labardi ed Edoardo Salimbeni.
A PIEDI IN VAL DI PESA PER SALVARE BOTTICELLI
Anche l’ufficio di Fasola agli Uffizi era sede per riunioni clandestine. Qualche lettera anonima lo denuncia, ma viene intercettata in tempo.
Il soprintendente Giovanni Poggi gli affida il 19 luglio del 1944 il compito delicato di riportare a Firenze le opere d’arte che si trovavano al castello di Montegufoni, a Montespertoli. I tedeschi avrebbero fornito dei camion per l’operazione. Mezzi che però non arrivano. Fasola decide comunque di raggiungere la Val di Pesa dove i capolavori degli Uffizi erano stati messi in salvo. La situazione è caotica: il fronte sta arrivando a Firenze. Fasola compie il suo viaggio rocambolesco verso Montegufoni, prima in tram fino al Galluzzo, poi a piedi fino ai luoghi dove erano conservate le opere: villa Bossi-Pucci a Montagnana, i castelli di Montegufoni e di Poppiano. Fra il 24 e il 25 luglio arriva il fronte e proprio Montegufoni è in una posizione drammatica, al centro dello scontro. Da un lato i tedeschi, dall’altro gli alleati. Il 30 luglio la pioggia di bombe è, come scrive Fasola stesso, “uno spettacolo apocalittico”. Il rischio di distruzione o di saccheggi di dipinti inestimabili è altissimo. Fasola resta lì, con coraggio, a salvare capolavori come, appunto, la Primavera di Botticelli. Un’azione per cui si guadagnerà, dopo la guerra, la medaglia di bronzo al valore civile (oltre alla Croce al Merito di Guerra come partigiano combattente).

L’ARTE DELLE FAMIGLIE EBREE
C’è un altro aspetto eroico nella figura di Cesare Fasola: il suo ruolo nel salvare quante più opere possibile fra quelle razziate dal regime alle famiglie ebree. In base a una disposizione ministeriale, ogni qualvolta nelle abitazioni degli ebrei di cui venivano confiscati i beni fossero stati trovati oggetti d’arte, un funzionario della Soprintendenza avrebbe potuto trattenerli, di fatto salvandoli dalla razzia. Ovviamente questa prerogativa della Soprintendenza non era vista di buon occhio dalla Guardia nazionale repubblicana e in particolare dal maggiore Mario Carità, capo del reparto servizi speciali, la famigerata “banda Carità” responsabile di varie atrocità a Firenze, nonché delle torture degli avversari politici nella “villa Triste” sulla Bolognese.
Nei primi mesi del ’44 Fasola si impegna con tutte le forze a recuperare le notizie sui luoghi dei sequestri alle famiglie ebree, mettendo in salvo quante più opere può nella sala blindata delle Vecchie Poste agli Uffizi. Salta da una parte all’altra della città, da una casa all’altra da cui vengono portati via i beni degli ebrei, ferma i facchini per le scale mentre portano via gli oggetti. Si sbatte fra gli uffici della Soprintendenza, l’Ufficio affari ebraici della Prefettura e tiene persino testa a Carità nei suoi stessi uffici in via Bolognese.
Poco poté fare con il Tesoro della Sinagoga di Firenze, diciotto casse con oggetti di culto e arredi sacri requisite dai fascisti in parte a Prato, alla villa del Palco, in parte a Fiesole, a Villa Chimichi. Carità le portò via dalla Loggia dei Lanzi, insieme ad altre 17 casse di materiali requisiti a famiglie ebree accatastate alla Galleria dell’Accademia e trasportò il tutto a Vicenza: Il Tesoro della Sinagoga fiorentina sarà poi recuperato dai partigiani vicentini e tornerà a Firenze nel 1947. Fasola collaborerà nel dopoguerra anche con il più noto “007” cacciatore di opere d’arte trafugate dai nazisti, Rodolfo Siviero.
L’ATTIVITÀ POLITICA A FIESOLE
Come in molti altri casi, il CLN traghettò anche Fiesole nella fase di transizione e nella ripresa delle attività, caduto il regime. Fasola e la moglie partecipano attivamente. Lei come segretaria del comitato, lui come assessore ad Assistenza sociale e igiene e poi ai Lavori pubblici nella giunta straordinaria guidata dal socialista Luigi Casini che il Comitato di Liberazione insedia a Fiesole subito dopo il primo settembre 1944.
Il sindaco Casini nel ’45 sceglie di non partecipare alle cerimonie per San Romolo, un po’ per scelta laica, un po’ per smarcarsi dalla precedente amministrazione fascista. Episodio che crea subito un battibecco alla Peppone – don Camillo fra la nuova giunta postbellica e il proposto della Cattedrale, mons. Rodolfo Berti che affigge polemicamente la lettera di rifiuto del sindaco alla porta della Cattedrale. Fasola difende la scelta del sindaco in questa lettera.

Fasola si candida nel ’46 alle prime amministrative post belliche con il Blocco democratico della ricostruzione (Partito d’azione, socialisti, comunisti). Dal ’47 aderisce ai socialisti: svolgerà attività politica a Fiesole fino al 1960. All’inizio bisogna rimuovere le macerie, togliere le mine, riattivare le linee elettriche, compiti che la delega ai lavori pubblici lo pone in prima linea. Ma a Fiesole si occupa anche di cultura e di turismo con le Giunte Casini e Ignesti. Già nel ’46 si adopera per riaprire il museo Bandini e fa sua una battaglia per il decoro, contro le scritte sui muri o contro l’abbandono di rifiuti a Maiano o a San Francesco. E, ancora, si batte per il ripristino del filobus diretto per Firenze (fino ad allora effettuava lunghe soste sul tragitto). E scrive al sindaco chiedendo che “l’ATAF trovi modo di levare dalle vetture che fanno il servizio di Fiesole quelle brutte decalcomanie réclame sui vetri che impediscono la vista che si gode delle nostre strade”.
L’8 novembre 1960 la moglie Giusta muore. Cesare si trasferisce a Bagno a Ripoli e lì muore il 14 novembre 1963. Lui, torinese, ricordava di essere giunto a Fiesole “nel momento più cruciale” e di sentirsi legato al paese “dal più affettuoso attaccamento, poiché qui ho vissuto il periodo più bello della vita”.
Tante le amicizie dei coniugi Fasola, come quella con lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan o con Carlo Levi. L’autore di “Cristo si è fermato a Eboli”, che era anche pittore, ritrasse la coppia in un suo dipinto.
La compagnia fiorentina Teatri d’imbarco aveva preparato una lettura dei diari di Fasola, intitolata “L’uomo che salvò la Primavera”. Sarebbe dovuto andare in scena il 28 maggio al Teatro delle Spiagge a Firenze. Ma al momento resta in sospeso.