La grande scrittrice nata qui si racconta al Fiesolano. Dai ricordi d'infanzia all'analisi di quello che sta succedendo in questi giorni di emergenza “che dimostrano quanto l'uomo sia debole e basti poco per gettarlo nell'indigenza e nella solitudine”
di Damiano Fedeli
“Ci sono abitudini che sembravano conquistate per sempre e invece, al momento del pericolo, dimostrano quanto l’uomo sia debole e basti poco per gettarlo nella indigenza e nella solitudine”. Dacia Maraini è una delle più grandi scrittrici italiane contemporanee. Il suo è uno sguardo sempre attento a quello che succede attorno a noi, alle disuguaglianze, alle questioni che riguardano le donne. La persona giusta con cui parlare di questi giorni sospesi, del pianeta in bilico per l’emergenza coronavirus. E Dacia Maraini è nata proprio qui, a Fiesole, il 13 novembre del 1936. “Purtroppo di Fiesole non ho un ricordo personale – racconta – perché siamo partiti per il Giappone quando avevo un anno. Ho compiuto due anni sulla nave per Kobe. Ma ho sentito molto parlare di Fiesole dai miei genitori quando eravamo in Giappone. Eravamo molto poveri allora, mi raccontava mia madre e vivevamo di patate, perché Fosco (il padre della scrittrice, etnologo e orientalista, ndr) aveva litigato con suo padre a proposito del fascismo che il padre apprezzava e lui no. Così se n’era andato di casa sbattendo la porta. Erano poveri, ma a loro dire, molto uniti e felici di questa bambina appena nata che, continuando le loro abitudini, portavano legata sul dorso per campagne e montagne fiesolane”.
A Fiesole eravamo poveri, ma uniti e felici. Ero una bambina e mi portavano legata sul dorso per le campagne
Ha avuto modo di tornare qui e ha mantenuto un qualche legame con il paese natale?
“Ho degli amici a Fiesole, ma sono venuti dopo”.
Veniamo all’oggi. Sono giorni particolari, difficili, giorni in cui in Italia e, allargando gli orizzonti, in Europa e nell’intero mondo, stiamo vivendo un’esperienza dolorosa che ci accomuna. Come valuta quello che sta succedendo?
“Gli antichi pensavano che le catastrofi naturali venissero dalla decisione di un dio adirato. Il diluvio universale per la dissolutezza dei terrestri, la distruzione di Sodoma e Gomorra per il cattivo comportamento dei sodomiti. Oggi nessuno crede più a un dio irato che manda pesti e alluvioni, ma possiamo dire che se mettiamo al posto di Dio la natura, è chiaro che la natura, maltrattata, si rivolta. Tutti questi disastri vengono dall’uomo che, nel suo delirio di onnipotenza, ha trascurato e bistrattato il suo territorio, tanto da stravolgerne le caratteristiche”.
Tutti questi disastri vengono dall’uomo che, nel suo delirio di onnipotenza, ha trascurato e bistrattato il suo territorio
Che cosa resterà all’umanità di questa esperienza del coronavirus? O almeno, a suo avviso, che cosa dovrebbe restare?
“Credo che questa pandemia ci stia dando una terribile lezione da cui dobbiamo imparare a essere più rispettosi verso la natura, più attenti al nostro rapporto con il pianeta e con gli animali nostri vicini che trattiamo solo in funzione del nostro interesse”.
È vero che questo virus è democratico e colpisce tutti indistintamente. Ma non si rischierà, invece, che si accentuino ancora di più le disuguaglianze? Stare a casa è un lusso che non tutti si possono permettere a lungo…
“Certo, il virus è democratico perché tocca tutti e non fa differenze, ma i risultati, se non cambieremo sistema, ricadranno sui più deboli”.
Per molte donne, poi, l’essere costrette a casa con un compagno violento rappresenta un problema ulteriore, di cui poco si parla. Che fare?
“Anche per questa orribile pratica vanno trovate delle risposte, ma non solo legali e poliziesche. Si deve lavorare sulla cultura, ma cominciando dalle scuole elementari, insegnando ai bambini che l’amore non dà diritto al possesso. Che non si può possedere nessuno e si deve rispettare la libertà delle persone che ci stanno accanto. Alcuni uomini, i più fragili e impauriti, non accettano l’autonomia delle donne che stanno loro accanto e reagiscono con l’odio e la violenza. Anche su di loro si dovrebbe agire in senso culturale insegnando che i tempi cambiano, le donne conquistano nuove libertà e loro devono accettarle anche se vengono soppressi alcuni privilegi”.
Ci sono tante persone che stanno tenendo diari, alcuni online, raccontando questi giorni di vita sospesa e rovesciata. Come valuta questa necessità di raccontarsi? E come, per uno scrittore, questo può essere un periodo fecondo?
“I racconti sono la materia di cui è fatta la Storia. Poi verranno gli studiosi a raccogliere queste testimonianze e a trarne una visione di insieme”.
Quella delle persone che muoiono da sole è forse la cosa più tragica e straziante di questa pandemia
Un altro scrittore, Antonio Scurati, qualche giorno fa sul Corriere della Sera dipingeva la generazione dei cinquantenni, finora agiati e senza particolari problemi, che si sono ritrovati a dover fare la fila per il pane. È un’immagine che colpisce, in effetti…
“Sì, ci sono abitudini che sembravano conquistate per sempre e invece, al momento del pericolo, dimostrano quanto l’uomo sia debole e basti poco per gettarlo nella indigenza e nella solitudine”.
E poi c’è l’aspetto degli affetti brutalmente troncati, le persone ricoverate che non si possono andare a trovare e muoiono da sole. I morti che non possono avere un funerale. E, ancora, il guardarsi con sospetto perché ciascuno di noi può essere anche inconsapevolmente veicolo di contagio. Sono situazioni che lasciano ferite profonde in una comunità intera. Come lenirle?
“Quella delle persone che muoiono da sole è forse la cosa più tragica e straziante di questa pandemia. La morte è un momento di passaggio e tutti avrebbero il diritto di avere accanto le persone che amano”.
Le fa impressione che i tabaccai siano stati lasciati aperti e le librerie chiuse?
“Infatti, me lo sono chiesta. Non ho capito perché si consideri il fumo una necessità e la lettura no. Dovremmo fare una petizione per chiederlo ai nostri governanti. Anche se non sono fra quelli che stanno alla finestra e criticano tutto quello che fanno quelli in strada. Non è facile decidere cosa fare in un momento così complesso, di fronte a un virus che non si conosce, di cui non si conoscono i tempi, le capacità di danneggiare il corpo umano”.
Che cosa leggere in questi giorni? Affidatevi ai classici, Italo Svevo o Grazia Deledda
A proposito di lettura, che cosa consiglia di leggere per questi giorni?
“Io proporrei di affidarmi ai classici. Se un libro ha superato tante generazioni ed è ancora vivo ai nostri tempi vuol dire che ha qualcosa da dire a tutti. Potrei proporre tanti libri bellissimi che hanno fatto parte della mia formazione, ma mi fermo sui due scrittori che considero i genitori del romanzo italiano moderno: Italo Svevo e Grazia Deledda. La Coscienza di Zeno e Canne al vento secondo me sono due romanzi che si leggono come se fossero stati scritti oggi. Li consiglio volentieri”.
Foto di Alessio Jacona Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
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Grazie Damiano per quello che ci proponi.