di Damiano Fedeli
Natale si sta avvicinando. Nessuno sa che festa sarà, se saremo chiusi nelle nostre case, se potremo incontrare i nostri cari. La situazione attuale della pandemia è tornata a preoccupare e le decisioni si susseguono con rapidità, creando disorientamento e proteste. Stavolta, al contrario dello scorso marzo dove l’Italia è stata il primo Paese occidentale a essere investito dall’ondata dei contagi, possiamo guardare ad altre nazioni vicine, già provate seriamente e alle prese con le chiusure, come Francia, Germania, Inghilterra, Portogallo, Belgio, Irlanda. Guardare che cosa sta accadendo adesso in quei Paesi ci aiuterà ad avere un’idea realistica di quello che fra non molti giorni potrebbe purtroppo ripetersi qui.
Natale è tradizionalmente il momento degli acquisti, un periodo importante per la nostra economia. Se dovessimo essere nuovamente limitati nei movimenti, abbiamo due strade: andare a fare compere su internet, oppure nei negozi del vicinato. Sul fronte online (molto spesso comodo, nessuno lo nega) non ci sono solo i colossi, multinazionali che macinano profitti; ci sono anche piccole realtà locali che si sono convertite alla modalità online. Sull’altro piatto della bilancia ci sono i negozi di vicinato. Nei mesi del primo lockdown sono state proprio le botteghe vicine a casa, quando addirittura era complesso lasciare il proprio comune di residenza, a tenere vive le nostre comunità. In tanti hanno riscoperto il panettiere, l’ortolano, il mesticatore sotto casa. Vedendo che non è solo questione di prezzi: nel negozio vicino a casa si intessono relazioni, si scambiano due parole. Un paese senza negozi è un deserto, un dormitorio senz’anima. In questi giorni, solo per fare un esempio, a Fiesole ha chiuso la lavanderia a gettone. Era un servizio utile, specie in queste umide giornate autunnali quando in molti nel capoluogo utilizzavano quelle asciugatrici per il proprio bucato. Adesso la più vicina lavanderia automatica è a Pian di Mugnone: in tanti, anziani senza auto, non possono più usufruire di questo servizio. Altre attività hanno chiuso il bandone per sempre, più legate ai declinanti movimenti turistici, come il negozio di casalinghi e oggettistica in piazza Mino o il negozio di pelletteria a San Francesco. Chiusure di attività si segnalano anche nella Valle dell’Arno. Senza attività commerciali – spesso costrette alla chiusura da affitti molto alti, poco realistici e poco commisurati ai tempi attuali – i nostri paesi e frazioni si impoveriscono.
Da qualche settimana il Comune sta distribuendo dei volantini – che in tanti negozi hanno appeso – che sottolineano l’importanza dei negozi di vicinato, invitando la popolazione a fare acquisti fiesolani. Un’iniziativa di buona volontà, certo, un appello che ci sentiamo di condividere. Allo studio anche una Fiesole Card, una carta per premi e sconti nei negozi locali. Ma forse non basta: occorrerà che la politica comunale, regionale e nazionale facciano tutto il possibile per sostenere le attività di vicinato. Chi studia e osserva l’urbanistica a partire da questi mesi di pandemia afferma che si andrà verso una ridistribuzione fra città e borghi. Nelle città si concentreranno i grandi servizi, come università o ospedali, per fare un esempio. Le persone – dicono quanti studiano questi fenomeni – sceglieranno sempre di più di vivere nei borghi. Per farlo, i paesi hanno necessità di servizi essenziali. Come, innanzitutto, la connessione internet ad alta velocità, servizio imprescindibile al pari di acqua, luce e gas, ormai, ma purtroppo preclusa, al momento, per una parte non irrilevante del nostro comune, quella della valle dell’Arno, con gravi difficoltà per chi deve seguire lezioni a distanza o lavorare in smart working.
In questo cambiamento epocale i negozi sotto casa costituiscono una parte fondamentale della vitalità delle nostre comunità. Ricordiamocelo per il prossimo Natale. Il rischio è di finire ad abitare in un deserto.