Il matrimonio fiesolano del Perugino. E quel San Sebastiano che affascinò il suo allievo Raffaello

di Jonathan K. Nelson

Nell’anno in cui si celebra il cinquecentesimo anniversario della scomparsa di Raffaello, morto nel 1520, il mondo ricorda il celeberrimo artista urbinate, e qui a Fiesole possiamo evocarlo attraverso opere locali legate alla cerchia del suo maestro, Pietro Vannucci detto il Perugino. Sicuramete, durante i quattro anni in cui visse a Firenze prima di diventare famoso a Roma, Raffaello fece un salto a Fiesole. Nel San Sebastiano (nella foto sopra) affrescato sulla colonna a destra dell’altar maggiore nella cattedrale dedicata a San Romolo, il pittore urbinate avrebbe riconosciuto l’impronta, a lui certo familiare, del Perugino. L’opera, infatti, si deve a un allievo del Perugino, che trasse ispirazione da una famosa pala d’altare del maestro, firmata e datata 1493. La Madonna con Bambino e i santi Giovanni Battista e Sebastiano (foto sotto), ora tra i molti capolavori agli Uffizi, fino al 1786 ornava la Cappella Martini nella chiesa di San Domenico di Fiesole.

Madonna con Bambino e i santi Giovanni Battista e Sebastiano – Galleria degli Uffizi (fino al 1786 a San Domenico di Fiesole)

Nella Vita del Perugino, pubblicata nel 1550, Giorgio Vasari descriveva la pala come una “Nostra Donna con tre figure, fra le quali un S. Bastiano è lodatissimo”. Dei molti allievi che il Perugino poté vantare, Vasari scriveva: “uno fra tutti eccedè, che datosi a piú onorati studi di gran lunga vinse il maestro, e fu questo” non il nostro allievo del San Sebastiano, ma “il miracoloso Raffaello Sanzio di Urbino”. L’idea di scrivere biografie degli artisti a lui contemporanei venne a Vasari dall’amico Paolo Giovio, un famoso studioso che a sua volta aveva scritto una breve biografia in latino del Perugino. In questo scritto, solo pochi anni dopo la morte di Raffaello, Giovio parlava della natura fuggevole della fama: “Chi mai ha esercitato le pittura, negli anni validi, con più successo e rinomanza del Perugino, che ora, anche ottantenne, seguita a dipingere con mano abbastanza ferma, ma senza più gloria? Eppure per molto tempo e ostentatamente ebbero ad applaudirlo tutti i principi italiani (…) Nessuno infatti raffigurava con più morbidezza e dolcezza di lui il volto e l’espressione dei santi e soprattutto degli angeli (…) Ma gli astri di un’arte perfetta che si chiamano da Vinci, Michelangelo e Raffaello (…) sommersero la fama e il nome di lui con le loro opere meravigliose”.

Sebbene nel novembre del 1500 un committente estremamente ricco e colto, Agostino Chigi, ancora scrivesse che il Perugino era “il meglio maestro d’Italia”, non v’è dubbio che, all’inizio del sedicesimo secolo, il pittore umbro dovette affrontare una concorrenza senza precedenti. In parte la visione di Giovio e Vasari della fama degli allievi che eclissa quella degli ex-maestri si inserisce in una tradizione letteraria, resa famosa da un brano del Purgatorio di Dante: “Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura”. Tuttavia, è anche vero che il Perugino un tempo si era davvero meritato il plauso di ‘tutti i principi italiani’. Nel 1493, lo stesso anno in cui il pittore terminava la pala di San Domenico, un informatore del Duca di Milano stendeva un elenco dei migliori artisti allora attivi a Firenze. Come ci si può aspettare, l’anonimo corrispondente cantava le lodi di tre fiorentini: Botticelli, Filippino Lippi e Domenico Ghirlandaio. Esprimeva però anche il suo apprezzamento per il Perugino, “maestro singolare”, scrivendo, un po’ come avrebbe detto Giovio trent’anni dopo, che “le sue cose hano aria angelica et molto dolce”. 

Prima di analizzare le ragioni del crollo della fama del Perugino, riandiamo quindi un attimo al suo periodo di gloria. Probabilmente proprio mentre lavorava alla pala di San Domenico, nel 1493 o poco prima, venne a sapere o a conoscere Chiara, la figlia del celebre architetto Luca Fancelli. Nato a Settignano, che al tempo faceva parte del territorio di Fiesole, Fancelli in passato aveva prestato servizio come capomaestro della Cattedrale di Firenze. Il Perugino sposò Chiara il primo settembre 1493 in una sala imprecisata, ubicata all’interno della Canonica di Fiesole. Vasari raccontava: “Tolse per moglie una bellissima giovane e n’ebbe figliuoli; e si dilettò tanto che ella portasse leggiadre acconciature, e fuori et in casa, che si dice che egli spesse volte l’acconciava di sua mano”. Oltre alla propria figlia, Luca Fancelli consegnò al Perugino una dote pari a 500 fiorini, una cifra piuttosto considerevole se si pensa che a quei tempi il costo medio di una pala d’altare ammontava a un centinaio di fiorini. Ne dobbiamo dedurre che l’architetto settignanese ritenesse il pittore umbro un buon partito. E forse tale reputazione era anche imputabile al successo riscosso, parola di Vasari, dalla pala di San Domenico, nella quale “S. Bastiano è lodatissimo”. In un’era prima dell’invenzione dei sondaggi – è difficile oggi immaginare un mondo così innocente – il successo di un dipinto si giudicava dal numero di copie e varianti che venivano prodotte. E, in effetti, molte opere, sia del Perugino stesso sia dei suoi allievi, riproducono il San Sebastiano della pala proveniente da San Domenico. La più raffinata, oggi al Louvre, mostra il santo legato a una colonna con l’iscrizione in latino, tratta dal Salmo 37: “Le tue frecce mi hanno trafitto”. La mia opera preferita, però, è una versione oggi all’Ermitage, nella quale il Perugino appose la sua firma in un punto alquanto singolare: l’asta della freccia che trafigge il collo del santo!

Ben prima che Garibaldo Cepparelli, modesto pittore di San Gimignano, realizzasse nel tardo Ottocento la copia della pala di San Domenico che prese il posto di quella del Perugino, un allievo del nostro maestro umbro dipinse una variante nel Tabernacolo del Proposto, sulla Via Vecchia Fiesolana (foto sotto), sul muro di sinistra per chi scende verso Firenze da Piazza Mino, prima della Villa Medici.

Il Tabernacolo del Proposto originariamente sulla via Vecchia Fiesolana (oggi, staccato, si trova al museo del Cenacolo di Fuligno, in via Faenza a Firenze)

Oggi un ponteggio consente la visuale della sola cornice in pietra, rimasta vuota dopo che l’affresco con la Madonna col Bambino e santi venne spostato al Cenacolo di Fuligno, un piccolo museo statale a Firenze poco noto, dedicato essenzialmente al Perugino e ai suoi seguaci. In quest’ultimo affresco non solo il San Sebastiano ma anche la Madonna col Bambino riprendono direttamente quelli della pala un tempo nella chiesa di San Domenico. Qualcuno suggeriva che l’autore del tabernacolo fosse un certo Bartolomeno Fancelli da Settignano, cugino della moglie del Perugino, la suddetta Chiara, diventato allievo del pittore umbro. L’idea è affascinante, e ci piacerebbe pensare che un artista di Fiesole avesse dipinto l’opera nel suo territorio natale, ma Nicoletta Baldini ha avanzato un’attribuzione più convincente. La studiosa ha notato che la forma e lo stile della Madonna col Bambino sono gli stessi di un altro affresco, il Tabernacolo del Ponterosso a Figline Valdarno, dipinto probabilmente nel 1499 da un certo Giovanni di Papino Calderini. Questi è, evidentemente, lo stesso artista che ha eseguito non solo il Tabernacolo del Proposto sulla Vecchia Fiesolana ma anche il San Sebastiano nella cattedrale di Fiesole. 

San Sebastiano, cattedrale di Fiesole (particolare). Si notano i puntini neri della tecnica dello “spolvero” con cui venivano trasferite le immagini sull’intonaco a partire dal cartone preparatorio

Osservando da vicino l’affresco della cattedrale fiesolana (foto sopra), si notano dei puntini neri lungo i bordi delle pieghe del perizoma del santo. Se vi venisse in mente che siano tracce di polvere non vi sareste sbagliati di molto. L’artista infatti usava una tecnica detta ‘spolvero’ per trasferire l’immagine sull’intonaco dal cartone preparatorio. Come funziona questa tecnica? Il cartone, ovvero un disegno a grandezza reale su carta, ne costituisce il primo passo. Poi, con uno strumento appuntito, si creano dei forellini lungo le linee di contorno. Infine si porta il cartone nel luogo in cui verrà eseguito l’affresco, si appoggia al muro e si tamburella sulla superficie del cartone con un sacchetto pieno di polvere di carbone e voilà, si stampa sul muro una serie di puntini neri, che sono la base del disegno sul muro. Questa tecnica, molto diffusa nel Rinascimento, venne perfezionata proprio dalla bottega del Perugino. Non erano solo gli allievi a usare ampiamente lo ‘spolvero’ per riprodurre immagini ma anche il maestro stesso. Da un lato questa nuova tecnica, che possiamo paragonare al concetto di catena di montaggio di Henry Ford, consentì al Perugino di produrre rapidamente opere di alta qualità, dall’altro fu proprio causa del crollo della sua reputazione.

Un caso emblematico è l’Assunzione della Vergine del maestro umbro, oggi in una cappella laterale della chiesa della SS. Annunziata di Firenze ma originariamente collocata sull’altar maggiore. Nel tracciare le figure di quest’opera, il Perugino derivò e adattò molti angeli e apostoli dalla sua Ascensione di Cristo, ora a Lione, originariamente parte di una pala d’altare nella chiesa di San Pietro a Perugia. Vasari, che reputava inaccettabile questa prassi, riferiva che al momento dello svelamento della tavola, l’Assunzione “fu da tutti i nuovi artefici assai biasmata. Erasi Pietro servito di quelle figure ch’altre volte era usato mettere in opera, dove tentandolo gli amici suoi dicevano che affaticato non s’era e che aveva tralasciato il buon modo dell’operare, e per avarizia e per non perder tempo era incorso in tale errore. A i quali Pietro rispondeva: ‘Io ho messo in opera le figure altre volte lodate da loro, e songli infinitamente piacciute; se ora gli dispiacciono e non le lodano, che ne posso io?’” Oggi, anche a causa della moderna ossessiva ricerca di qualcosa di innovativo, è anche troppo facile deridere il povero Pietro. Persino un estimatore come Paolo Giovio scriveva del Perugino: “l’inaridirsi della sua fantasia lo costrinse a tornare sempre ai volti leziosi in cui si era fissato da giovane”.

Però, se al tramonto di questo anno dedicato a Raffaello, volessimo fare un salto nella cattedrale di Fiesole, in cerca di bellezza piuttosto che di novità, potremmo certamente trovarla nell’immagine sapientemente dipinta del San Sebastiano, tratta dal Perugino, il quale era noto per non avere pari nel raffigurare con “morbidezza e dolcezza” “il volto e l’espressione dei santi”. L’espressione pacifica di Sebastiano affonda le radici nella fede e nella fiducia che le ferite causate dalle frecce non lo avrebbero condotto alla morte; per tale motivo, per secoli il santo divenne un baluardo per difendersi dalla peste. In questo anno flagellato dal Covid, per coloro che credono nel potere dell’arte o dei santi, o in entrambi, auguriamoci che l’affresco possa essere d’ispirazione per un Natale più sereno e d’auspicio per un Capodanno tranquillo.