di Jonathan K. Nelson
Da un capolavoro conservato a Fiesole potremmo imparare una bella lezione sul tema dell’amore. Il Trionfo d’Amore fu dipinto nei primi anni ottanta del Quattrocento da un certo Jacopo di Arcangelo, come Sandro Botticelli allievo di Fra’ Filippo Lippi, e più noto come Jacopo del Sellaio, un soprannome derivato dal mestiere di suo padre. E, ad essere sinceri, in alcuni casi le figure nei quadri di Jacopo hanno davvero un aspetto rigido come il cuoio!
Tuttavia non è il caso di questa tavola conservata proprio al Museo Bandini, dove l’arte del Sellaio raggiunse il più alto grado di finezza (in nome della trasparenza, devo confessare… l’opera è così bella che l’ho utilizzata come immagine per le cartoline di invito al mio matrimonio). Sia, in generale, la composizione dei personaggi sia, in particolare, la rappresentazione delle figure femminili possiedono una grazia che ricorda le opere del Botticelli. Guardate le gentildonne dalle ciocche bionde sulla sinistra, protagoniste dell’immagine manifesto scelta dal Comune di Fiesole per la Festa della Donna 2017. Con le loro proporzioni snelle e allungate, le andature e i gesti delicati sembrano sorelle –o almeno parenti entro il sesto grado– di analoghe figure nel celebre quadro della Primavera, ultimato da Botticelli qualche anno prima. Effettivamente, come in molti altri suoi dipinti dello stesso periodo, il Sellaio aveva preso spunto per la composizione da un’opera botticelliana.
Il quadro a Fiesole illustra attraverso le immagini il testo de I Trionfi di Francesco Petrarca, iniziato a metà del Trecento e completato nel 1374, poco prima della sua morte. Quest’opera letteraria non solo costituiva una delle fonti d’ispirazione più in voga per la pittura profana del Quattrocento ma rimase una delle opere poetiche più popolari in Italia nel corso di tutto il Rinascimento, tra le persone di qualsiasi cultura. Certamente il Sellaio aveva letto I Trionfi, anche grazie al fatto che erano stati composti in volgare e non in latino. Purtroppo ignoriamo quali libri figurassero tra gli scaffali del pittore, mentre invece sappiamo che Filippino Lippi – figlio di Fra’ Filippo e geniale allievo di Botticelli – del Petrarca possedeva un “Chanzoniere”, del Boccaccio il “Ninfale” [Fiesolano] e le “Ciento Novelle in forma”, vale a dire un’edizione a stampa del Decamerone, e di Dante “uno …in charta pechora”, cioè una Divina Commedia su pergamena.
Evidentemente Filippino lesse questi volumi esclusivamente per piacere, visto che non ne trasse mai ispirazione per la propria produzione artistica. Invece il Sellaio aveva consultato il Petrarca anche per creare il suo Trionfo d’Amore. La tavola conservata a Fiesole, che oggi misura circa 76 cm di altezza e 90 di larghezza, originariamente doveva essere lunga almeno il doppio. Sulla destra, infatti, il Sellaio aveva raffigurato un’altra scena con una composizione simile, anch’essa nella collezione Bandini: il Trionfo della Castità. La continuità tra le due si deduce dal paesaggio sullo sfondo, che appare finalmente completo se accostiamo le due tavole. Stessa sorte è toccata a una seconda opera, in seguito segata in due e collezionata dal canonico Bandini, dove in origine figuravano riuniti il Trionfo del Tempo e il Trionfo dell’Eternità. Forse la serie era completata da una terza tavola, oggi perduta, che illustrava il Trionfo della Morte e il Trionfo della Fama.
Probabilmente il Sellaio aveva realizzato il ciclo pittorico come decorazione per una spalliera, un tipo di rivestimento ligneo allora molto in voga a Firenze per le pareti delle camere da letto, che in genere veniva commissionato in occasione dei matrimoni. Come nelle molte altre raffigurazioni del Trionfo d’Amore, quattro cavalli bianchi tirano un carro e un cupido nudo armato di arco e freccia svolazza al di sopra di un braciere d’oro pieno di fuoco, simbolo della passione amorosa. Il Sellaio riprese fedelmente i dettagli descritti dal Petrarca nel suo testo: “quattro destrier vie più che neve bianchi/ sovr’un carro di foco un garzon crudo/ con arco in man e con saette a’ fianchi”. Tuttavia la poesia non parla dei cupidi nudi alati con le lunghe torce in mano, che vediamo ai quattro angoli del carro. Il pittore probabilmente li riprese da un’altra fonte, che nel 1459 descriveva una processione di un carro d’Amore portato in trionfo lungo le strade di Firenze, un evento che l’artista, nato nel 1441, potrebbe addirittura aver visto di persona. La scena infatti includeva “quattro spiritelli peregrini … ed ha ciascuno in mano una lumera e sono innudi con l’ale alla spalla”, proprio come quelli del Sellaio.
Dopo aver descritto il carro, i versi del Petrarca spiegavano l’identità delle figure: “d’intorno innumerabili mortali, / parte presi in battaglia e parte occisi, / parte feriti di pungenti strali”. Nel dipinto questi mortali, un paio di dozzine in tutto tra uomini e donne, appaiono elegantemente vestiti in abiti rinascimentali. Alla base del carro sono incatenati vari prigionieri d’Amore: una graziosa fanciulla, un bel cavaliere e un uomo più maturo. Forse rappresentano Venere, Marte e Giove, dèi rispettivamente dell’amore della guerra e del fulmine, tutti e tre menzionati dal Petrarca. E proprio lì si cela il messaggio che il Sellaio rivolge a noi: la freccia di Cupido può colpire tutti ma proprio tutti, giovani e vecchi, uomini e donne, con o senza mascherina, e in qualsiasi momento, persino (o specialmente?) durante il lockdown. Una cosa comunque è certa: ci innamoreremo di questo delizioso dipinto al Museo Bandini.
Segnalo ai lettori un video molto chiaro e accessibile sulla serie dei quattro Trionfi raccontati da Silvia Borsotti, responsabile dell’Ufficio Cultura del Comune di Fiesole: