Il Fiesolano

Le storie parallele di Lucio e Libero:
nascere ai tempi della pandemia

di Damiano Fedeli

Lucio e Libero sono nati a poche ore di distanza la mattina di domenica 29 marzo all’ospedale di Careggi. In due sale parto una accanto all’altra e da due coppie che vivono nel territorio di Fiesole in due frazioni vicine: una a Compiobbi, l’altra a Ellera. Due storie parallele che si sono sfiorate. I genitori dei due neonati raccontano adesso al Fiesolano che cosa vuol dire nascere ai tempi della pandemia. Due storie di speranza in questi giorni di emergenza.

La sera dei miracoli di Lucio

Isabelle e Luca con Sophie, Sebastiano e il nuovo arrivato Lucio

Sono le due e un quarto della notte di domenica 29 marzo quando a Isabelle si rompono le acque. Il marito, Luca, prende gli altri due bambini – Sophie di quattro anni e Sebastiano di tre – e ancora addormentati li carica in auto partendo con loro e la moglie da Compiobbi direzione Careggi. Un po’ per l’ora, un po’ per i decreti di chiusura, per strada non incontrano nessuno. Solo una pattuglia della Finanza che li ferma ma il loro spostamento è più che giustificato, ci mancherebbe. “Ci volevano addirittura scortare… In macchina ho messo su una canzone – racconta Luca Librandi, 35 anni – ed era ‘La sera dei miracoli’ di Lucio Dalla”. “Quella sera surreale era la nostra sera dei miracoli”, conferma Isabelle Bailet, 37 anni. “Quella canzone parla di un mondo in festa, piazze piene, locali, gente. L’opposto di quello che vedevamo e vivevamo, mentre stavo andando a partorire da sola”. “Per gli altri due figli – riprende Luca – ho assistito ai parti, sono sempre stato in reparto prima, durante e dopo il travaglio. In questo caso la situazione ha richiesto un distacco forzato. Ho dovuto lasciare Isabelle alla porta dell’ospedale e le ho detto ciao mentre un operatore sanitario le prendeva la valigia e la portava via”. Nessun contatto con nessun altro. Isabelle aveva già fatto il tampone, negativo, il giorno prima. Prosegue Luca: “Lasciata lei a Careggi quella notte, torno a casa con i bimbi, li rimetto a letto e mi metto a scrivere nel nostro blog privato, in attesa di notizie. Mi butto sul letto alle sei e alle 8,55 arriva la videochiamata: ecco Isabelle con in braccio il bambino!”.

 Lucio è nato di 3 chili e 780 grammi. “Me l’hanno messo sulla pancia appena tirato fuori, con ancora il cordone ombelicale e l’anestesista ha subito preso il mio telefono e videochiamato Luca”, racconta la mamma. “Un incontro virtuale che mi ha fatto partecipare a questo momento magico”, commenta lui.

L’emergenza ha fatto sì che babbo e fratellini conoscessero insieme il nuovo arrivato solo martedì 31, al momento della dimissione da Careggi. “Come nella notte dell’ingresso in ospedale, non avevamo nessuno a cui lasciare i bambini. E così Luca li ha portati con sé”, racconta Isabelle. “L’incontro è avvenuto nel parcheggio della maternità: è stato lì che ho presentato Lucio a tutti e tre, babbo e fratelli”. Commenta Luca: “Un conto è vederlo in foto, ma quando lo prendi in braccio è tutta un’altra sensazione. È stato bello conoscerlo tutti insieme, io con gli altri due bimbi”.

Il nome Lucio i genitori lo hanno scelto in omaggio a Battisti, a Dalla e “anche a un altro cantautore, maremmano, onirico e giovanissimo, Lucio Corsi, che in famiglia piace a tutti, anche ai bambini”. Per ora, ovviamente, Lucio non lo hanno potuto conoscere di persona né nonni, né zii o cugini (“Solo una nonna è riuscita a vederlo. Le abbiamo dovuto chiedere una mano per poter andare a fare dei controlli medici”).

I due genitori mostrano orgogliosi la copertina del fascicolo con gli esami medici del neonato disegnata dalla sorellina. Si vede il piccolo Lucio sotto un arcobaleno. “Sono mesi che Sophie ci disegna così, sotto un arcobaleno. Da dicembre, almeno. Ben prima dell’attuale ‘Andrà tutto bene’. E sarà veramente così”.

Io sono nato Libero

Chiara e Corrado con Libero

Sono passate esattamente due ore da quando è nato Lucio in quella domenica mattina del 29 marzo. Sono le 10,50 e nella sala parto accanto nasce Libero. Un nome impegnativo da portare, certo. Se però si considera che siamo in piena pandemia, con l’Italia e il mondo bloccati, quel nome diventa in qualche modo un programma, una speranza per tutti. “Il nome lo avevamo deciso già da mesi. Non avremmo mai immaginato che avrebbe assunto un significato così particolare. Chiamarsi Libero per uno nato in quarantena è perfetto, provocatorio, quasi”, sorridono i neo genitori, Chiara Favati e Corrado Burberi, una coppia di ventottenni di Ellera, davanti al loro primogenito.

Nascere ai tempi del coronavirus. Un momento che la coppia si era immaginato in un modo e che la pandemia ha trasformato del tutto. Fra la mamma costretta a stare in ospedale da sola e il babbo, a casa, che nei momenti cruciali si è dovuto accontentare di messaggi e videochiamate. Così come i nonni e gli zii, ansiosi di fare la conoscenza del nuovo arrivato e che per il momento lo possono vedere solo sul telefono. O ancora le passeggiatine, per ora estremamente limitate (“Lo abbiamo portato solo dalla pediatra, mettendogli una piccola bandana davanti alla bocca”, raccontano i genitori.

“Mi hanno ricoverata in maternità a Careggi mercoledì 25 per qualche problema, niente di serio. Passate le quaranta settimane, volevano indurmi il parto”, racconta Chiara. “In ospedale mi hanno fatto il tampone, è la prassi, e sono risultata negativa. Le partorienti positive vengono invece isolate in una sezione apposita.  Ero in stanza con un’altra ragazza. Ci hanno fornito la mascherina e non potevamo ricevere visite. Corrado lo potevo sentire solo via cellulare. Tutto il personale portava la mascherina e le operazioni di pulizia erano frequentissime”. Dal mercoledì al sabato, quando sono cominciate le contrazioni, sono stati giorni lunghi, per Chiara. “Mi ero portata qualche libro da leggere. Il tempo, da sola, non passava mai, fra la tensione per il parto e la voglia di togliersi il pensiero. Tutto il personale, però, comprendendo la situazione generale di disagio, è stato estremamente disponibile. La notte prima di partorire è stato il momento peggiore. Ho sentito la solitudine, la paura ed ero forzatamente da sola. Quello è stato pesante. Ma quando arrivi al dopo, pensi che sia stata una sofferenza che ti ha fatto crescere. E nei giorni che ho passato da sola con il bimbo si è creata un’intimità straordinaria. Le ostetriche, approfittando del reparto con pochissima gente, mi hanno coccolata, dandomi un sacco di consigli importanti”, racconta.

Alla nascita, Libero pesava tre chili e settecento per 54 centimetri di lunghezza. Mamma e bambino sono stati trattenuti qualche giorno, per verificare che il piccino prendesse peso regolarmente. Il babbo, così, ha potuto vedere il bimbo solo quattro giorni dopo che era nato. Prima solo le foto sul cellulare e le videochiamate. “Quando la domenica mattina mi è arrivato il messaggio ‘entro in sala parto’, per la smania di fare qualcosa ho cominciato a pulire casa. Poi ho disinfettato la macchina, l’ovetto, la culla”, racconta Corrado. “Per me è stato peggio il dopo che il prima, questi giorni ad aspettare che li dimettessero sembravano infiniti. Quando finalmente giovedì mattina hanno dato l’ok, sono andato a prenderli. Si è aperta la porta del reparto, dove gli esterni adesso non possono accedere, ed è uscita un’ostetrica che mi ha piazzato il bambino in braccio. Una sensazione indescrivibile. Certo, c’eravamo immaginati questo momento in modo molto diverso. E per tutto il travaglio, con lei che non stava bene, non ho potuto fare niente”. Chiara sorride: “Conoscendoti, ti è andata meglio così. Ci saresti svenuto in sala parto!”.