Xiyu, pittore cinese, disciplina e generosità: esce di casa ogni dieci giorni e ha fatto arrivare a Fiesole 4500 mascherine

Quando è scattato il decreto “Io resto a casa”, lui l’ha recepito con un rigore e una disciplina estremi. “Esco solo una volta ogni dieci giorni per fare la spesa. Mi porto uno zaino da montagna e un borsone dell’Ikea e li riempio del necessario”, racconta Xiyu Guo, 24 anni, pittore e studente all’Accademia di Belle arti a Firenze. L’unico cinese che abita a Fiesole, probabilmente il primo (anche se precisa: “Ho conosciuto una signora di Taiwan che abitava già qui, trasferita appena nata”). E che, proprio grazie ai suoi contatti con la madre patria, è riuscito a far arrivare a Fiesole un gran numero di mascherine per privati e associazioni del territorio che gli avevano chiesto una mano a procurarsene, ben prima che fossero distribuite quelle della Regione Toscana. Anzi, quando qua ancora si dibatteva sulla loro utilità.

Esco solo una volta ogni dieci giorni per fare la spesa: ci vuole un atteggiamento molto serio contro questo virus

Questo periodo Xiyu Guo (la pronuncia corretta è qualcosa di vicino a sciù wuò) lo trascorre nell’appartamento di Borgunto dove vive, preparando la tesi per l’Accademia, che dovrebbe discutere a giugno. È a Fiesole dal 2016: si è stabilito qui da quando è arrivato in Italia per studiare a Firenze. “La tesi che sto preparando è sulla pittura cinese di soggetto mitologico. Ci metterò un confronto anche con quella europea”. Xiyu a settembre vorrebbe andare a specializzarsi a Milano, all’Accademia di Brera, ma la situazione generale, e in Lombardia in particolare, ha rimesso tutto in forse. “Bisogna vedere”, dice.

La disciplina con cui sta vivendo questo periodo dà una buona idea del rigore con cui in certe città cinesi, come Wuhan, è stata affrontata la chiusura totale. Fa la spesa ogni dieci giorni, appunto, per il resto è chiuso in casa. “Al limite, sulla via del ritorno dalla Coop mi fermo nel mio studio di pittura lì accanto a prendere qualcosa, ma poi torno a casa subito. Preferisco non uscire: ci vuole un atteggiamento molto serio: questo virus è grave. Vedo però che Fiesole sta facendo molto bene”. Il tragitto da Borgunto allo studio prima lo faceva con una bella bicicletta verde, un po’ vintage, che deve aver fatto gola a qualcuno: qualche tempo fa, infatti, gli è stata rubata.

Xiyu viene da Shenzhen, nella Cina meridionale, la città sede del colosso della telefonia Huawei. Oltre mille chilometri più a sud di Wuhan, epicentro del virus. “Quando il virus è esploso in Cina, a grande velocità, ero molto preoccupato per i miei. Le regole di chiusura sono state ferree nella mia città. Ad esempio, si è arrivati a chiudere totalmente palazzi di venti piani per un solo residente colpito dal virus”.

In Cina lentamente sono in corso le riaperture, ma la gente ha paura ad andare nei ristoranti. Le fabbriche devono dimostrare di avere mascherine per tre mesi per tutti i lavoratori

Piano piano le regole si sono allentate, là. Adesso la Cina sta affrontando una fase alla quale ci dobbiamo preparare anche noi, fra qualche settimana. Ben lontana dalla normalità che qualcuno, illudendosi, si aspetta. “I miei possono uscire di casa per un po’ di tempo, ma c’è sempre una guardia nel palazzo che ti controlla la temperatura quando esci e quando rientri. Le fabbriche, per riaprire, devono dimostrare di avere una fornitura di tre mesi di mascherine per tutti i lavoratori, altrimenti non viene dato loro il permesso. I ristoranti, non tutti, hanno riaperto, ma con posti limitati, distanze di sicurezza e file fuori. Per esempio vanno bene i McDonald’s dove si sta poco tempo, mentre sono più in difficoltà i ristoranti tipici cantonesi dove si sta una o due ore: la gente ha ancora un po’ paura a stare in un locale chiuso. E nel nordest della Cina, al confine con la Russia, è esploso un nuovo focolaio in un’altra città, più piccola, che è stata chiusa come Wuhan”.

Quando il contagio è esploso in Italia, “a un certo punto è successo l’inverso: sono stati i miei a preoccuparsi per me. Adesso li devo videochiamare ogni giorno per rassicurarli, per dire loro che sto bene, che le persone si stanno comportando bene e che ci sono controlli di vigili e carabinieri”.

Quando ancora le persone pensavano che non servissero, nei primissimi giorni di chiusura italiana, Xiyu si è attivato per far arrivare a Fiesole dalla Cina tante mascherine qua introvabili. “Mio babbo ha trovato una fabbrica statale e me ne voleva mandare un centinaio solo per me. Allora gli ho chiesto di procurarmene un po’ per conto di persone e associazioni di volontariato che ne cercavano da acquistare”. In totale, già da settimane ne ha fatte arrivare 4500, di cui 100 FP2 per gli operatori sanitari e il resto di tipo chirurgico.

Man mano che il virus si spostava di Paese in Paese abbiamo visto le stesse scene. Sembra sempre il problema di qualcun altro finché non ti tocca direttamente

Ci teneva a farle arrivare a Fiesole perché sapeva che presto sarebbe stato chiesto a tutti di indossarle e ci saremmo trovati senza. Era qualcosa che aveva già visto accadere in Cina. “Questo virus è come un brutto film che si ripete sempre uguale, di Paese in Paese. È partita la Cina e le immagini che arrivavano qua hanno fatto dire alle persone: ‘Quelle misure di chiusura sono esagerate, tipiche di un regime comunista’. Poi il contagio è arrivato in Italia, l’Italia ha chiuso tutto e gli altri Paesi hanno cominciato a dire: ‘Italiani esagerati, volete farvi la siesta’. E così via: Germania, Francia, Spagna. Ora gli Usa. Sembra sempre il problema di qualcun altro finché non ti tocca direttamente”.

La pittura di Xiyu è delicata ma con personalità. “Dipingo paesaggi fiesolani, che sono molto belli, e anche ritratti su commissione. Ma porto avanti una mia ricerca e un mio modo di rappresentare la realtà”. A settembre le sue pitture sono andate in mostra a Shanghai, alla prestigiosa Accademia teatrale e in una moderna libreria.

E Xiyu Guo ha vinto il concorso a Bormio per realizzare un’opera che rimpiazzasse l’antico affresco, distrutto nel 1855 da un incendio, nel Kuerc, il loggiato simbolo del paese dell’alta Valtellina. La sua allegoria della Giustizia è stata inaugurata gli inizi di febbraio. Giusto quando in Italia cominciavano episodi di intolleranza nei confronti dei cinesi presunti “untori”. “A Fiesole non ho avuto problemi. Qualcosa è successo a una mia amica cinese a Firenze. Proprio a Bormio, però, un gruppo di ragazzi mi vede e fa: ‘Non passiamo davanti ai cinesi che hanno il virus’. No, non ci sono rimasto male. Le persone non sanno le cose come stanno, a volte basta confrontarsi. E così ho fatto con loro, rimanendoci a parlare. L’importante è trovare le parole giuste”. È capace di disarmare Xiyu, con il suo stile orientale, pacato e gentile, con il suo italiano che migliora di giorno in giorno. “Questo virus ci lascerà delle tracce dentro, con le paure e con tutto quello che ha portato. Penso che lo dovrò rappresentare nelle mie pitture. Ma ancora ci devo pensare, ci devo riflettere su”.